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lunedì, agosto 28, 2006

Parto e Ipnosi

Ultima parte

L'autoipnosi suggerita e sostenuta continuatamene mobilita il soggetto verso una continua ricerca interiore e verso quella autoesplorazione cara a Milton Erickson. Grazie all'autoipnosi diventa possibile l'acquisizione di livelli elevati di abilità in una integrazione mente-corpo.

Naturalmente l'autoipnosi svincolata completamente da una relazione terapeutica non è assolutamente appropriata nel caso di problematiche psicologiche gravi. Wilbacher (comunicazione personale, 2002) consiglia l'uso dell'autoipnosi come forma di terapia di mantenimento durante e in seguito a una terapia ipnotica breve. Crasilneck (1975) suggerisce ai pazienti di attenersi nella propria pratica autoipnotica a insiemi di suggestioni legati strettamente al lavoro terapeutico in corso. Nella ipnosi moderna viene ampiamente valorizzata la responsività in luogo della suggestibilità in una visione evocativa dei fenomeni ipnotici (Ducci 2002). La pratica dell' autoipnosi fondata sull'accrescimento della percezione di sé sembra porsi coerentemente in linea con ciò.

Non si può non concludere senza fare un doveroso accenno alla formazione professionale in ipnosi clinica e ai modi più opportuni per organizzarla intorno alla consapevolezza e allo sviluppo delle capacità autoipnotiche dell'allievo. Tutto il mondo formativo sta facendo un notevole sforzo per superare le limitatezze del pensiero orientato agli obiettivi e all'esclusiva attenzione alle tecniche (Short, 1999). Si vanno proponendo metodologie indirette come il metodo della narrazione, apprendere attraverso il raccontarsi, descrivere le proprie emozioni in rapporto alla relazione con l'altro (Kaneklin, 1998).

Nell'ambito formativo strettamente ipnotico da una indagine condotta da Wilbacher e Gandolfi (1998) risulta che un'alta percentuale di allievi ritarda o abbandona definitivamente l'uso professionale dell'ipnosi. Dopo una fase iniziale di apparente sicurezza nel corso della formazione, alla fine di questa l'allievo entra in una fase mentale di shock che può portare all'abbandono dell'ipnosi in quanto si ritrova da solo a gestire l'impatto emotivo del lavoro in trance. Il neo terapeuta prova disagio per le sue risposte corporee e emotive. L'atto di indurre la trance nel paziente produce simultaneamente uno stato autoipnotico nell'ipnotista. Diversamente dalle altre forme psicoterapeutiche dove l'apprendimento emozionale del sé avviene in modo graduale, in ipnosi l'impatto è immediato e inaspettato.

Nell'indagine emerge che gli allievi non riescono a fornire una risposta soddisfacente in merito all'abbandono dello strumento ipnotico in favore di altri approcci terapeutici, ma solo se l'allievo attiva uno scambio emozionale con il formatore riesce a entrare in una fase mentale di superamento che lo aiuta a neutralizzare lo shock e a far funzionare la mente sintonicamente e simultaneamente fra processi emotivi e razionali.



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giovedì, agosto 24, 2006

La preparazione al Parto

(seconda parte)

CONCLUSIONI
La questione autoipnosi può essere affrontato da più punti di vista. L'autoipnosi può essere vista essenzialmente come il prodotto di una precedente ipnosi e susseguente suggestione post-ipnotica e dunque non esistere come fenomeno autonomo. Viceversa si può essere convinti che l'ipnosi abbia luogo solo a patto che il soggetto si renda disponibile a produrre la propria autoipnosi e dunque è solo l'autoipnosi a esistere.

Ad ogni modo avvengono nella fenomenologia della coscienza una serie di eventi aspecifici, senza una intenzionalità esplicita finalizzata alla produzione di una trance che non sono facilmente collocabili e definibili.

La coscienza va incontro ordinariamente a un processo di discontinuità in cui diventa operante il meccanismo dissociativo. I cosiddetti sogni a occhi aperti non rispondono a una casualità rintracciabile nella mente conscia, ma a importanti bisogni del sistema mente-corpo.

Di fatto l'evento autoipnotico può avvenire all'interno o all'esterno di una cornice terapeutica.

La stessa relazione terapeutica non è altro che una fitta trama di stati di coscienza auto/etero indotti.

Ognuno può autonomamente misurarsi con un universo di risultati desiderati e desiderabili per sè, ma in assenza della supervisione di un ipnotista esperto può essere difficile porsi obiettivi adeguati e appropriati.

Crasilneck (1975) cita una serie di esempi in cui persone non educate al corretto uso dell'ipnosi possono fare richiesta di un training autoipnotico finalizzato al raggiungimento di obiettivi irrealistici e qualche volta non sani.

Un avvocato aveva fatto richiesta di imparare a dormire tre ore a notte, mentre uno studente mediocre voleva assicurarsi voti eccellenti.

In autoipnosi il saper fare è una dimensione intimamente legata alle potenzialità soggettive presenti e non alla fantasia di un fare straordinario

Erickson (1987) ha sostenuto più volte il fenomeno dell'interferenza di obiettivi apprezzabili da parte della coscienza, ma in disaccordo con i bisogni dell'inconscio.In tal senso sottolineava che l'insistenza a interferire coscientemente con l'inconscio determina l'insorgenza di un problema.

Ne possiamo trarre che fare autoipnosi senza una consapevolezza di come dimensionarla correttamente può produrre danni.

Al contrario nell'ambito di una relazione terapeutica si può ragionevolmente concludere che a prescindere se sia fatto in modo deliberato o no si sviluppa sempre una qualche forma di autoipnosi nel soggetto in terapia anche non esplicitamente ipnotica. Del resto Lankton (1984) ha dimostrato che gli stati ipnotici sono presenti in molte forme terapeutiche e coinvolgono pazienti e terapeuti.

Oltre a ciò occorre distinguere gli eventi di autoipnosi spontanei da quelli strutturabili in un addestramento esplicito.

Impegnare già nelle prime fasi della terapia il paziente in un vero e proprio training autoipnotico significa operare strategicamente e apertamente sullo svincolo e l'autonomia del soggetto.

Per di più rinforza la convinzione di poter godere di un controllo su aspetti inattesi della propria vita.
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mercoledì, agosto 16, 2006

La preparazione al Parto

(prima parte)

Il parto per una donna rappresenta un evento della vita ricchissima di significati socioculturali di cui l'ipnotista deve tener conto nel momento in cui opera. Il lavoro preparatorio al parto deve necessariamente essere sufficientemente articolato per consentire un alto grado di efficacia. L'approccio diretto fondato semplicemente su ingiunzioni del tipo 'Voglio che lei abbia un parto indolore' non ha in genere buone speranze di successo. Con un approccio decisamente indiretto e frazionato Erickson predisponeva un ampio piano che mobilitava un vastissimo insieme di esperienze estesiche personali e agiva sulla modificazione discreta delle aspettative sul dolore evocando nella mente della donna l'idea della dilatazione esemplificandola con comportamenti spontanei e naturali.

Può sentire o non sentire l'anello al dito o le scarpe ai piedi.
E' necessario soffrire nella peristalsi?
Aprire le dita delle mani fa male?
Come la prenderà quando aspettandosi di soffrire, non soffrirà?
(Erickson, 1988)

Nella preparazione al parto l'ipnotista deve accertarsi non solo che la donna abbia effettivamente appreso l'uso della tecnica, ma anche che condivida gli obiettivi del lavoro e si sinceri dell'applicazione di alcune precauzioni.

In ogni trattamento che abbia a che fare con il dolore, questo non può essere eliminato completamente.

Erickson (1982) riferisce di un caso in cui una donna desiderava sentire a pieno tutta l'esperienza della nascita senza essere distratta dal dolore. Voleva sentire piacevolmente le contrazioni dell'utero come se avesse inghiottito una ciliegia intera e la sentisse scivolare comodamente lungo l'esofago.

Pertanto Erickson indusse inizialmente una anestesia completa che poi trasformò nel tipo di analgesia richiesta dalla paziente. Dopo di chè addestrò la paziente a sviluppare una profonda trance postipnotica sonnambulica che si sarebbe attivata all'inizio del travaglio e che le avrebbe permesso di partecipare all'intero evento.
Ala fine del travaglio, una volta ritornata nella sua stanza, sarebbe caduta in un sonno profondo e riposante per circa due ore.

Dopo due anni, la donna tornò da Erickson in quanto aspettava il secondo bambino. In questo caso bastarono tre ore di trance profonda per ristabilire lo stesso apprendimento autoipnotico.

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mercoledì, agosto 09, 2006

ASMA BRONCHIALE: PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO PSICOSOMATICO CON CICLO BREVE DI IPNOTERAPIA

Da una ricerca del :

Dott. Flavia BARBAGELATA
Centro Medicina Psicosomatica
Medico chirurgo, specialzzata in allergologia e immunologia clinica; psicosomatica; ipnosi
Sezione S.I.M.P San Carlo Borromeo – Naviglio Grande

Abstract

L’asma bronchiale è una delle malattie psicosomatiche più conosciute. Abbiamo oggi diversi modelli psicogenetici che ci descrivono in che modo l’esperienza psichica dei primi mesi di vita si riflette sull’asse immunoendocrino, determinando le condizioni sulle quali si potranno esprimere i fattori genetici ed etiologici che scateneranno poi la patologia. Nel caso dell’asma la familiarità atopica e la presenza di sensibilizzazioni ad allergeni inalanti confluiranno con la risposta agli “stressors” biochimici, determinando quell’insieme di flogosi e di risposta neuroautonoma alterata che provoca il broncospasmo. Alla luce di queste considerazioni, abbiamo elaborato un protocollo di intervento specifico, con l’obiettivo, in primo luogo, di ridurre l’ansia anticipatoria correlata all’esperienza broncospastica, poi di intervenire parallelamente sul profondo atteggiamento “hopless & helpless” che osserviamo in questi soggetti. A questo scopo abbiamo ritenuto particolarmente idoneo un intervento di tipo ipnotico individuale, eventualmente allargabile al gruppo.

Inizialmente lavoriamo sulla costruzione del senso corporeo, ponendo particolare attenzione allo sviluppo di un rilassamento somatico generalizzato, in associazione al rinforzo dell’IO. Gradualmente rendiamo i pazienti consapevoli della loro capacità di respirare automaticamente; questa delicata fase è fondamentale nel processo di costruzione di fiducia del paziente nei confronti del proprio corpo, in particolare il sistema respiratorio, sperimentato come organo “ ostile”. In seguito somministriamo visualizzazioni positive di cambiamento per rispondere all’“angoscia di morte” correlata all’esperienza asmatica ed alla staticità comportamentale secondaria alla memoria psichica negativa che appare in questi soggetti. Infine modifichiamo l’atteggiamento cognitivo del paziente asmatico verso la propria percezione dell’allergene nell’aria respirata e parallelamente verso il significato della reattività bronchiale; questo per spostare profondamente la reazione d’angoscia automatica, direzionando la risposta comportamentale ed autonoma verso l’atteggiamento corretto. La tecnica ipnotica adottata è nella prima fase di tipo diretto; poi introduciamo gradualmente l’autoipnosi , fino a che il paziente ne acquisti confidenza. Questi soggetti manifestano inizialmente una forte dipendenza ed un profondo bisogno di essere sostenuti e guidati; poi, nel corso del trattamento, sperimentano l’esperienza dello sviluppo di una liberante progressiva autonomia.

Introduzione

Con questa relazione proponiamo la nostra strategia di intervento nella cura della malattia asmatica, per mezzo di un protocollo di ipnoterapia da somministrare parallelamente al trattamento farmacologico usuale, con l’obiettivo di migliorare la risposta a quest’ultimo. Crediamo profondamente che una sinergia di intervento tra medici e psicologi possa consentire di affrontare tutti gli aspetti che questo disturbo presenta.

Aspetti organici medici

In accordo con l’ultima definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’asma bronchiale è una malattia caratterizzata da crisi respiratorie e/o broncospasmo, che si sviluppano in 4 stadi di gravità fino a diventare continuative. È un disturbo fortemente limitante, ed è causa di profonda sofferenza . Il trattamento farmacologico deve ancora spesso ricorrere ai corticosteroidi, nonostante i passi in avanti della ricerca, ed all’oggi non esistono possibilità di guarigione completa, anzi ancora di asma si può morire.

Crediamo importante per tutto il mondo scientifico la ricerca di nuove strade che cerchino di modificare questo destino. E l’approccio psicosomatico può essere una nuova interessante possibilità.

Aspetti neurofisiologici

Le conoscenze degli ultimi 30 anni inseriscono l’asma bronchiale tra le principali e meglio conosciute malattie psicosomatiche. Infatti l’alterazione organica reversibile dei bronchi creata dalla flogosi allergica classica che si instaura nel polmone, non è sufficiente a spiegare l’imponente disfunzione respiratoria che osserviamo nell’asma.

Altri elementi giocano un ruolo nel quadro che la malattia ci presenta.

Innanzitutto dati in letteratura suggeriscono la presenza di un sistema biologico profondo che mette in rapporto allergia, resistenza alle infezioni e psiche. Questi fattori sono correlati tra loro mediante una interazione dinamica dove ognuna delle tre forze è in grado di produrre malattia; ogni settore può interferire con l’altro e ciascuno può innescare il circolo vizioso della reazione a catena. Questo comportamento ci rimanda al modello di comunicazione evoluto tipico della rete immuno-neuro-endocrina. In effetti sappiamo che nel micro-ambiente intercellulare si realizza un flusso importante di informazioni attraverso i diversi compartimenti, ed ogni attività di tipo psichico o nervoso può essere tradotta in reazioni corporee. Col diffondersi di queste conoscenze dovute alla psico-neuro-endocrino-immunologia anche la medicina classica ha finito per ammettere le strette correlazioni tra reazioni somatiche e psichiche, specie a livello del sistema immuno-allergico, determinante nella patogenesi dell’asma. Molti autori descrivono modificazioni dei parametri immunitari di fronte ad uno stress emozionale, e probabilmente tutte le malattie organiche risentono dello stato psico-emotivo, il quale, quando viene insultato cronicamente, provoca disfunzioni nei sistemi biologici più profondi. L’insorgere della malattia sceglierà il distretto corporeo più debole sul quale opera una predisposizione genetica. Alla fine in ogni caso singolo osserveremo un equilibrio specifico tra fattori biologici e psichici.

Per quanto riguarda il sistema nervoso autonomo, è stata sottolineata la possibilità di una sua influenza diretta sul reclutamento immunitario, come pure sulla stimolazione ad attivazione mastocitaria, tramite la liberazione di acetilcolina da parte delle terminazioni nervose parasimpatiche vagali, che vanno a interagire con i recettori di membrana. Mediante questo meccanismo il sistema nervoso autonomo parasimpatico può innescare reazione a cascata del mastocita che determinerà la flogosi immuno-allergica di tipo I, cioè la reazione allergica. È nota poi la sua attività broncocostrittiva. Dall’altro lato il sistema ortosimpatico sappiamo che possiede una potente azione bronco-dilatatrice ed antiallergica. Normalmente il sistema orto e parasimaptico si mantengono in un equilibrio reciproco, in grado di lasciare silente il terreno atopico nei polmoni. Ma quando le condotte psichiche si cronicizzato in un automatica reazione di fuga ( parasimpatica ) le stimolazioni colinergiche si incrementano, favorendo la liberazione dei mediatori dell’allergia e la risposta broncospastica. Una reazione di “attacco” ortosimpatica potrebbe intervenire liberando adrenalina e quindi aprendo le vie bronchiali ed interrompendo la reazione allergica. Ma l’abitudine ad un cronico stile di risposta allo stress è spesso più forte, e quindi la malattia può instaurarsi

Aspetti psicologici

È un esperienza molto comune, tra gli specialisti del settore, la difficile gestione dei pazienti asmatici allergici, nonostante un nuova e specifica potenza dei farmaci a disposizione. Spesso queste persone tornano dai medici lamentando la persistenza di disturbi apparentemente ingiustificati, se posti in relazione al quadro clinico che presentano. Forte malessere, inefficacia dei trattamenti, accanto al rifiuto pregiudiziale degli stessi o nei confronti delle istruzioni di comportamento date, fondamentali nell’allergia e nell’utilizzo delle formulazioni inalatorie. Specialmente quest’ultimo atteggiamento, nel caso dell’asma, disturba i sanitari perché paradossalmente opposto alle loro aspettative di fronte ad una malattia che chiede così fortemente aiuto e guida. Sono questi pazienti che finiscono per mettere in atto condotte paradossali ambivalenti con la loro sfiducia nei confronti della medicina e del medico, che pure apparentemente adulano e temono. Così l’asmatico, specialmente il tipo atopico puro, di solito finisce per stancare con le sue aspettative di un miracolo. Il medico spesso avverte come fastidiosa la presenza di gravi sintomi e sofferenza accompagnati in modo contraddittorio da indifferenza comportamentale. Tutti questi elementi inducono nei sanitari, non preparati ad una lettura profonda dei loro pazienti, un sentimento di inadeguatezza e fastidio. Inevitabilmente si mette in moto un meccanismo di rifiuto inconscio. Avviene che le persone che dovrebbero dare loro sicurezza e protezione, sono in qualche modo allontanate e rese sorde alla richiesta passiva di aiuto che gli asmatici vivono disperatamente. Alla fine un comportamento inconscio del paziente condiziona una mancanza di cure secondarie adeguate. Si ripete così quella esperienza di precoce solitudine che ha innescato il loop psicosomatico, quasi una coazione a ripetere.

La letteratura scientifica ci descrive, in questi pazienti, una particolare percezione del sé corporeo, una alterata esperienza del polmone e della respirazione.

Misurando la riduzione del flusso respiratorio con la spirometria, osserviamo un gran numero di situazioni più critiche rispetto all’asma, come tumori o malattie polmonari croniche, ma solo nel soggetto asmatico osserviamo correlata alla mancanza del respiro una condizione di sofferenza così drammatica. L’angoscia manifestata si può giustificare in parte per la forte emozione che l’improvvisa mancanza d’aria può suscitare nell’individuo che sperimenta il broncospasmo, al di là dell’effettiva riduzione del volume respiratorio mancante, in parte anche per il particolare rapporto tra IO e “Mondo”, che si realizza nel soggetto atopico, cioè dal vissuto dell’esperienza allergica.

Fattori anatomo-fisiologici: polmone (esperienza del limite)

Il polmone è un organo molto particolare. Modificando la sua funzione da passiva (liquido amniotico) ad attiva (aria), rappresenta alla nascita il primo momento in cui il bambino sperimenta la sua capacità di sopravvivere; è il luogo dove si realizza il primo distacco dalla totale dipendenza verso la necessità biologica di autonomia. L’angoscia di morte che si realizza in quei momenti scatena l’istinto di sopravvivenza a superare la paura dell’inadeguatezza del corpo, ancora non percepito come un sé separato dalla madre, e dell’ambiente esterno sconosciuto, che non è ancora “altro da sé”. Nella mente vergine si registra questo primo vissuto di fragilità e limitazione, associandolo alla reazione di risposta innata, espressa dal grido che accompagna la vita che nasce. Segue la prima elaborazione mentale dell’ambiente esterno con le sue risorse, di un mondo “fuori di sé” che deve essere in grado di rispondere ai propri bisogni, ed accanto la percezione di un sé-corpo dipendente, completamente condizionato dalla necessità di adeguate sorgenti di vita, come l’aria. Generalmente la funzione respiratoria diviene automatica in pochi minuti e la consapevolezza del respiro viene rimossa. Ma quando occorre una inaspettata perdita di aria o blocco respiratorio, riemerge il ricordo delle prime terrorizzanti esperienze di sopravvivenza. Le crisi d’asma ripetute riattivano quella profonda paura di inadeguatezza, fragilità e dipendenza.

Fattori intrinseci: la costituzione genetica (esperienza della diversità)

L’asmatico allergico sperimenta una particolare esperienza del proprio corpo segnato dal terreno genetico atopico, che comporta una serie di vulnerabilità costituzionali. Come una cute delicata e secca, particolarmente sensibile ad aggressioni chimico-fisiche, o mucose facilmente irritabili, nell’intestino (intolleranze) e nelle vie bronchiali, reattive con spasmo bronchiale a fattori vari, anche aspecifici. La comparsa di sensibilizzazioni poi porta con se una forte destabilizzazione ed una profonda sfiducia verso il proprio corpo, sia perché le allergie stesse comportano reazioni fortemente irritanti ed alcune volte pericolose, sia perché la reazione allergica ha la caratteristica di innescarsi solo dopo un primo contatto innocuo con la sostanza che provoca l’allergia. Poi inaspettatamente si sviluppa. E questo può avvenire nei confronti di varie sostanze, lungo il corso di tutta la vita, aumentando ed favorendo nuove altre sensibilità. Tutto ciò rende quasi impossibile l’integrazione di queste modalità reattive all’interno di una consapevolezza del “self” corporeo, come invece accade quando si tratta di altre caratteristiche costituzionali genetiche, come ad esempio i tratti razziali. Così gli allergici divengono persone confuse, spaventate di tutto perché tutto potrebbe essere pericoloso.

Il problema è che questo fatto biologicamente corrisponde alla realtà.

Fin dall’infanzia, l’esperienza corporea del bambino allergico registra il fondo biologico ipersensibile e vulnerabile conseguente all’atopia, accanto al timore del pericolo per lo sviluppo di nuove allergie; passo dopo passo tutto questo porta il soggetto a sentirsi diverso dagli altri, costantemente “a rischio”, privato nel diritto a lasciarsi andare alla vita. Purtroppo gli asmatici non possono neppure tentare di negare, rimuovere o sottovalutare il loro malanno perché senza tutta una serie di particolari e consapevoli precauzioni, le allergie tendono a peggiorare e moltiplicarsi.

Un cenno anche alla familiarità atopica: la trasmissione genetica tra genitori e figlio non si limita ai comportamenti e ai modelli di pensiero, vengono trasmessi anche le reattività biologiche e ciò che ne consegue.

Fattori estrinseci: l’ambiente (esperienza del mondo esterno)

L’atopia è la conseguenza di un disordine genetico del sistema immunitario. I pazienti asmatici sono quindi facilmente esposti a contrarre infezioni, inoltre ogni infezione alle prime vie aeree può scatenare una crisi asmatica. Sono perciò costretti ad elevate attenzioni verso tutto ciò che potrebbe causare rischio nell’ambiente circostante: la stagione invernale, le comuni malattie infettive da freddo, la presenza di irritanti nell’aria ambientale. Devono evitare di vivere in presenza di fumatori, di effettuare uno sforzo fisico, di correre contro al vento, di ridere e piangere. Provocherebbero un attacco d’asma. Questo causa angoscia e fobia di tutto ciò che è fuori dal controllo, come i cambi di stagione o lo spostamento verso un altro luogo; si instaura una condotta paranoidea. Interiormente si struttura la convinzione di essere imprigionati, costretti nella possibilità di vivere liberamente, come per il vissuto dell’handicap. L’asmatico appare inoltre controllato e timido, incapace di comunicare le proprie emozioni agli altri. Ciò trova spiegazione nel suo pattern psichico che, accanto alla fragilità ed insicurezza, presenta rabbia ed aggressività nei confronti di tutti coloro che, ai suoi occhi, sono colpevoli di poter vivere una vita normale; tuttavia la necessità di mantenere ogni cosa, incluse le proprie emozioni, sotto controllo ed il bisogno di dipendenza dagli altri, cortocircuita queste emozioni aggressive profonde e le traduce in un atteggiamento di sottomissione compiacente.

Aspetti psicosomatici

L’asma bronchiale si sviluppa su un terreno genetico atopico, ma condivide con altri disordini psicosomatici una struttura psichica ormai accertata: l’alexitimia. Questa assenza di “insight” accanto allo sviluppo di somatizzazioni, lo ritroviamo spesso come conseguenza di un contesto familiare, con la tendenza ad invischiare i bambini nei conflitti parentali. In merito agli aspetti psicosomatici, l’attuale conoscenza della patogenesi dei disordini immuno-allergici, è estesa. Essere allergico non significa necessariamente diventare asmatico. Ci devono essere dei fattori che determinano la localizzazione del problema allergico sui bronchi piuttosto che su altri distretti corporei.

La pneumografia mostra come l’attacco asmatico appaia molto simile al pianto disperato del neonato, quasi come se la crisi avesse il significato di un “grido di aiuto” per attrarre l’attenzione, l’amore e l’affetto della mamma. L’asma sembra rimandarci l’eco della sofferenza del bambino che sperimenta una madre irresponsabile, lei stessa dominata dai bisogni, ansiosa, e quindi non in grado di dare od esprimere il proprio amore o l’amore che percepisce. Di fatto, un madre non in grado di sostenere i bisogni del proprio bambino.

La storia psicologica dell’asma inizia in epoca neonatale, quando il piccolo totalmente debole ed inadeguato alla vita, si rivolge senza riserve al rapporto con la madre, per la soddisfazione dei propri bisogni di attaccamento e dipendenza. Ma si trova di fronte una madre ambivalente, da un lato molto tenera e seduttiva, dall’altro incapace di riconoscere i reali bisogni del bambino. Questa, alle richieste, risponde in modo inadeguato; agisce troppo e troppo spesso inutilmente. L’inefficacia di questi comportamenti la porta ad essere ansiosa ed ad aumentare ancore le risposte, purtroppo comunque qualitativamente inadatte. Infine si stanca peggiorando ancora di più la sua incapacità di rispondere ai bisogni del bambino, che non saranno mai soddisfatti. La frustrazione materna potenzierà il rifiuto materno originario. Il bimbo, che assiste alla negazione dei propri bisogni, sviluppa a sua volta una profonda rabbia ed aggressività, che tuttavia trova grandi difficoltà ad esprimersi, perché in questo momento il bambino non può permettersi di rivolgersi contro qualcuno dal quale è del tutto dipendente, quel “mondo – mamma” che gli permette la sopravvivenza. Il bambino inibirà l’aggressività ritorcendola contro sé stesso, fuggirà dalle emozioni stressanti. Col tempo questa situazione si cronicizza nella risposta parasimpatica allo stress (fuga), attraverso l’inibizione della via adrenalinica, che si attiverebbe con la liberazione dell’aggressività(attacco).

Questo modello descrive in che modo la fragilità bronchiale genetica in condizioni di stress finisca per dar luogo alla costrizione dei bronchi al posto della normale bronco-diatazione. Non solo: se osserviamo il fatto che una reazione allergica può essere interrotta dalla somministrazione di adrenalina, noi possiamo ipotizzare che la stessa flogosi scatenata dagli allergeni trarrebbe beneficio da una reazione allo stress di tipo attivante ortosimpatico. Queste considerazioni ci consentono di ottenere un profilo psico-neuro-biologico dell’espressione della atopia che si realizza nell’asma bronchiale.

Per tutta la vita l’asmatico manterrà questa perdita di sicurezza di sé e il bisogno di protezione. Sarà sempre spaventato di ripetere l’esperienza dell’essere negato. Questa è la regione per cui nello sfondo di un attacco asmatico noi spesso troviamo il “leit motiv” di separazione, partenza, gelosia, nascita di fratelli. Per proteggere sé stessi verso questi ed altri rischi, osserveremo quell’atteggiamento compiacente attraverso il quale gli asmatici tenteranno di attrarre la benevolenza di altre persone, specialmente di figure chiave. Per essere amati cercano di apparire perfetti, intelligenti, superiori, ed adeguandosi ai modelli conformati divengono efficienti e produttivi. Interiormente percepiranno una ’immagine di sé imprigionata dalla vita, profondamente impotente, incapace di comunicare la sua pesantezza, che desidererebbe essere capita ma che non crede ciò possibile. In psicologia questa condizione è stata identificata come “atteggiamento hopeless & helpless”.

Conclusioni

Troppo spesso la psicologia interviene in una fase tardiva, per singoli casi e con modalità che dipendono più dalle inclinazioni del terapeuta che dalla patologia psicosomatica che si va ad affrontare. Parallelamente troppo spesso l’azione dei farmaci è in questa malattia una “terra di nessuno”, che delude le aspettative.

Al giorno d’oggi nessuno nega più l’importanza degli aspetti psichici, nello sviluppo delle malattie allergiche, tuttavia i farmaci sono ancora gli unici presidi utilizzati nel trattamento di queste patologie. Si ritiene che circa un terzo dei allergie sono scatenate o vengono amplificate da fattori psichici.

Con l’elaborazione di questo protocollo intendiamo ricercare un metodo rapido ed agevole, in grado di aiutare i nostri pazienti asmatici. Questo metodo impegna pochi mesi e potrebbe integrare proficuamente il classico trattamento dell’asma; con gli opportuni adattamenti potrebbe forse essere somministrato anche in gruppo.

Attualmente questo protocollo è operante presso il Servizio di Psicosomatica del nostro Ospedale. La casistica si sta arricchendo in questi anni e dalle prime impressioni, ancora basate su pochi casi, rileviamo che in genere i pazienti, abituati a considerare l’asma una malattia del corpo, di fronte alla proposta di un trattamento ipnotico reagiscono con perplessità e diffidenza, quando non sono spaventati. Ma una volta superato l’impatto iniziale iniziano davvero a gradire questo tipo di esperienza. Inizialmente supportati da noi, li osserviamo gradualmente introvertire l’affetto verso il proprio corpo e poi verso una vita precedentemente temuta. Scompare il timore del fantasma dell’asma; si libera una totale complicità, accettazione ed attaccamento nei confronti del proprio corpo, vissuto come alleato. L’ipersensibilità viene vissuta come una speciale sensibilità psico-fisica, un talento che permette l’acquisizione di molteplici informazioni utili per sopravvivenza.

I risultati acquisiti per il momento, in questa esperienza, ci confortano nella speranza di muoverci verso la direzione giusta.

Per maggiori dettagli sulla ricerca visitate: L'Articolo

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sabato, agosto 05, 2006

L’ipnosi come trattamento integrativo nella cura dell’obesità.

Ricerche di medicina complementare in Lombardia

Studio clinico di efficacia e di efficienza
Progetto osservativo preliminare

L. Merati, F. Barbagelata, D. Noè*, P. Lanzi*, R. Ercolani, R. Galeaz, L. Grigoletto, M. Porreca, M. Poli
Centro Ambulatoriale di Medicina Psicosomatica - U.O. Semplice di Dietologia * - U.O.Medicina I° - A.O. Ospedale San Carlo Borromeo, Milano

INTRODUZIONE

L’insoddisfazione e la svalutazione del corpo, le preoccupazioni ossessive per la propria immagine, le aspettative irrealistiche affidate alla perdita di peso sono aspetti psicologici che condizionano spesso il soggetto con sovrappeso/obesità e che devono essere valutate, sia in fase diagnostica che nel corso del trattamento.(1) La constatazione della frequente inefficacia a lungo termine dell’approccio nutrizionista tradizionale, anche se affiancato a sostegno farmacologico od a tecniche chirurgiche e la difficoltà per il S.S.N. di offrire un adeguato sostegno psicoterapico per l’ingente impegno di risorse (personale specializzato e servizi dedicati), ci ha indotto a sperimentare, in collaborazione con l’ l’UOS. dietologica del nostro Ospedale, su una casistica di obesi/sovrappeso resistenti alla dieta, una tecnica efficace, breve ed a basso costo come l’ ipnoterapia di gruppo, secondo un protocollo con sequenza predefinita di suggestioni specifiche. Il progetto si pone l’obiettivo di verificare se l’affiancare ad una dieta l’ipnositerapia, tecnica di medicina complementare riproducibile, spesso efficace e risolutiva anche sul piano psicosomatico e di relazione con l’ambiente, è in grado di aumentare la compliance del paziente verso la dieta e di modificare le abitudini alimentari mantenendole nel tempo, riportando il peso ad un indice di minor morbilità e mortalità (B.M.I.=<25) ed infine di migliorare la qualità di vita, mediante l’aumento di consapevolezza e stima di sé, la migliorata immagine corporea e l’ incremento dell’ autopercezione cenestesica acquisita attraverso l’ ipnosi. Ciò dovrebbe concretizzarsi in un aumento dei consumi calorici, con caduta del BMI e parallela riduzione del carico socio-assistenziale.

MATERIALI E METODICHE IMPIEGATI

Lo studio ha analizzato 47 pazienti (39 f – 8m), adulti (età media 45,25 aa), con sovrappeso/obesità BMI medio= 35,55) secondario a sovralimentazione e resistenti alla dieta, a ridotto rischio psicotico. 12 soggetti hanno interrotto il trattamento o non sono pervenuti al follow up (Drop out)

Le sedute di terapia, per gruppi di 5 – 8 soggetti, hanno richiesto una sala counceling ambulatoriale, e 2 operatori (terapeuta ipnologo + osservatore esterno); della durata di 120 min., i 30’ iniziali e finali sono stati riservati alle interazioni del gruppo e i 30 min. centrali all’induzione ipnotica vera e propria.

Lo studio si è articolato in 4 fasi: a) arruolamento dei pazienti b) trattamento (8 sedute settimanali). c) follow up (6 mesi). d) elaborazione e analisi dei dati, stesura dei risultati e prime considerazioni di efficacia.
All’arruolamento abbiamo raccolto i dati basali (anamnesi, es. obiettivo, terapie pregresse ed in corso), e psicometrici (SIS I, Eating Disorder EDI 2), ripetuti alla fine del ciclo di ipnoterapia ed a 6 mesi, per la valutazione clinica di efficacia (peso iniziale, diario sintomi, qualità di vita e disabilità) e di efficienza (numero di giorni lavorativi persi, visite mediche o in pronto soccorso, ricoveri, analisi laboratoristiche o strumentali). A questo scopo sono stati costruiti tre indicatori specifici per i comportamenti patologici, qualità di vita e ricadute socio-assistenziali: 1- Indice di Compulsivita’ 2- Benessere Soggettivo. 3 –Consumo di Risorse.
La valutazione è stata effettuata rilevando le variazioni nel tempo dei 4 parametri rilevati: 1) B.M.I. 2) Compulsività. 3) Benessere soggettivo. 4) Consumo di risorse. I dati sono stati trattati statisticamente secondo la prassi corrente che prevede i seguenti passaggi. a)data cleaning b)data input c)analisi della varianza per variabili parametriche (Test di Student).

RISULTATI

I dati relativi ai pazienti ai sottoposti all’intero ciclo di ipnoterapia di gruppo che sono pervenuti al follow up a 6 mesi (35 pz.) mostrano una significativa e progressiva riduzione del peso corporeo che continua nel tempo. A fine terapia (2 mesi) osserviamo una caduta della media del BMI, che si accentua a 6 m., mostrando un trend in discesa significativo (T.di Student p<0,01). Il trend positivo si conferma anche nell’andamento dei dati relativi alle condotte psichiche patologiche (Compulsività) con medie che si riducono decisamente già alla fine del trattamento; ciò appare strettamente correlato alla azione terapeutica dell’ipnosi. (p<0,01). A questi corrisponde un progressivo ed estremamente significativo miglioramento della qualità di vita (P<0,001), indicata dall’indice di Benessere soggettivo medio, con andamento graduale e costante nel tempo. Confermano i dati precedenti i risultati relativi al consumo di risorse a causa di disturbi relativi al peso corporeo, come visite, controlli, ricoveri, perdita di giorni lavorativi ecc. Alla massiccia riduzione dei bisogni intervenuta durante la terapia, segue un ulteriore progressivo decremento che porta l’osservazione statistica a risultati assolutamente significativi, (P<0,0001 E-6).

CONCLUSIONI

Uno dei problemi principali nel trattamento dell’obesità è quello di ottenere, con tecniche tradizionali (dieta, esercizio fisico, terapia farmacologica e chirurgica), una rapida perdita di peso, che tuttavia tende a fermarsi e spesso a ritornare ai valori iniziali, dando luogo a quella che è stata definita “la sindrome jo-jo”, dove a ripetute diete consegue uno stato di ‘refrattarietà’ psicofisica del soggetto, che rende vano ogni ulteriore intervento.
Nella nostra casistica, di soggetti ‘difficili’ alla rieducazione alimentare,.abbiamo assistito già dalla fine del trattamento ipnotico (2 mesi) ad un miglioramento di tutte le variabili considerate: massa corporea, compulsività, benessere soggettivo e consumo di risorse economiche per disturbi correlati al peso. Tale condizione non solo si mantiene ma addirittura appare consolidarsi nel tempo (6 mesi), realizzando l’obiettivo primario dello studio che era quello di verificare se l’utilizzo di un trattamento complementare come l’ipnosi a cicli brevi di gruppo, accanto alla terapia nutrizionale classica, fosse in grado di mantenerne l’efficacia a distanza. Già il significativo decremento del peso corporeo, allineato agli standard della terapia classica (dieta + esercizio fisico), appare un successo in questi pazienti. Il persistere degli effetti a distanza di 6 o più mesi, appare in relazione allo sblocco comportamentale con l’abbandono delle condotte scorrette e miglioramento stabile delle abitudini di vita. In effetti l’ipnosi di gruppo, agendo a livello profondo, rinforza le motivazioni al cambiamento, eliminando i condizionamenti esperienziali ed aprendo stabilmente la strada alla strutturazione di una nuova e diversa immagine corporea. Il rapido e persistente decremento delle frequenti pratiche compulsive (abbuffate; vomito autoindotto, abuso di farmaci lassativi e/o diuretici) osservato nei nostri pazienti, appare un fattore determinante la diminuzione del peso corporeo. La diminuzione delle limitazioni conseguenti all’eccesso di peso (Indice di Benessere Soggettivo) determina un miglioramento della qualità di vita che appare più graduale e sembrerebbe, come atteso, parallela alla perdita di peso. Quasi conseguente è l’altissima significatività riscontrata nella riduzione di carico sociale per prestazioni sanitarie e giornate lavorative perse.
In tempi di culto dell’immagine, nei quali fioriscono diete ‘fai da tè’ ed il mercato dilaga con proposte illusorie, mentre la terapia dietetica classica appare spesso insufficiente l’aumento del peso corporeo, sembrerebbe che l’azione diretta delle induzioni ipnotiche, ottenga l’effetto di riportare le aspettativa di risultati verso sé stessi e verso idonee condotte di vita, interrompendo il flusso ininterrotto della richiesta di soluzioni esterne ‘miracolose’ alle quali affidarsi.
Il carico di morbilità e mortalità dovuti all’obesità o alle malattie direttamente correlabili ad essa, richiede interventi rapidi ed efficaci per controllare il fenomeno. E’ auspicabile una alleanza tra le diverse discipline , nutrizionale, chirurgica, psicologica che affronti adeguatamente questa complessa patologia. Gli obiettivi a lungo termine pongono nel cambiamento dello stile di vita l’unico efficace rimedio al problema dell’obesità e l’ipnosi, potente strumento di intervento sul comportamento (5-7-11-12-13), appare particolarmente idonea ad affiancare l’intervento tradizionale nutrizionale e/o chirurgico per potenziarne l’efficacia e il mantenimento dei risultati a distanza, al fine di realizzare una reale e persistente rieducazione alimentare.
La nostra esperienza in questo studio osservazionale, se pur preliminare,appare estremamente incoraggiante. I dati raccolti ci confortano a proseguire con studi più approfonditi che diano conferma dei risultati.

BIBLIOGRAFIA

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mercoledì, agosto 02, 2006

Ipnosi nella terapia della psoriasi

Un articolo di:Ezio Giangreco

Secondo P. Shenefelt, Ricercatore presso la divisione di Dermatologia della University of South Florida, l'utilizzo dell' ipnosi può favorire il miglioramento di numerose malattie dermatologiche se non addirittura promuoverne le risoluzione.

Tra le malattie della pelle in questione, oltre la psoriasi, nello studio vengono citate anche: acne, alopecia, dermatite atopica, herpes ed orticaria.
L'ipnoterapia inoltre potrebbe ridurre il dolore, il prurito e gli aspetti psicosomatici legati a questo tipo di malattie.

Il meccanismo tramite il quale l'ipnosi produce un miglioramento dei sintomi e delle lesioni cutanee è compreso solo in parte; l'ipnosi sembra intervenire nella regolazione del flusso sanguigno e di altre funzioni del sistema nervoso autonomo che normalmente non sono sotto il nostro controllo conscio.
Inoltre sembra esserci un'importante implicazione del rilassamento, che accompagna l'ipnosi, nel produrre positive modificazioni nel funzionamento del sistema neuro-ormonale.

Un altro punto fondamentale è che, in Dermatologia, questo tipo di tecnica può essere usato sia per controllare abitudini scomode e ulteriormente lesive come il trattamento che per procurare al paziente un'immediata analgesia di lunga durata.
Riducendo quindi l'entità dei sintomi quali il dolore ed il prurito, l'ipnosi ridurrebbe anche il carico di ansia al quale il paziente si trova continuamente sottoposto.

Nonostante la casistica sia ancora notevolmente ristretta, lo studio mostra dei risultati positivi riguardanti l'utilizzo dell' ipnosi su pazienti psoriasici.

L'Autore ha riportato un caso di psoriasi che ha mostrato una regressione del 75% ed una totale restitutio ad integrum in un'altro caso , sempre di psoriasi , con durata della malattia di almeno 20 anni; i risultati sono stati ottenuti con l'utilizzo di due diverse tecniche ipnotiche.

Un precedente studio ( Tausk , Withmore , Psychother Psychosom 1999: 495: 1-9 ) aveva già dimostrato l'efficacia dell'ipnosi come terapia aggiuntiva nella psoriasi , anche se i miglioramenti più consistenti sono stati ottenuti solo in soggetti altamente ipnotizzabili ( secondo la Stanford Hypnotic Susceptibility Scale, Form C o SHSS-C )

L'Autore conclude asserendo che, pur non essendoci ancora dati certi per affermare che l'ipnosi possa diventare la terapia d'elezione in casi del genere, viene comunque dimostrata la sua efficacia come coadiuvante, soprattutto nei casi più resistenti e dove vi sia un significante fattore emozionale nello scatenamento della psoriasi stessa.

Affinchè l'ipnosi sia di reale beneficio, il paziente non deve essere nè psicotico, nè soggetto ad intossicazione da sostanze, ma anzi motivato, non resistente e, soprattutto, mediamente o altamente ipnotizzabile ( sempre secondo la SHSS-C ) ; questi sono, assieme all'alto costo, gli attuali svantaggi dell'ipnoterapia applicata alla Dermatologia. ( Xagena_2004 )
Shenefelt PD , Dermatol Ther 2003 ; 16 : 114-122

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