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giovedì, luglio 06, 2006

Corpo e Metafora

Parte terza

La terapia psico-corporea dunque non spinge all’acting out, cioè all’espressione reale dell’aggressività, ad esempio nei confronti dei genitori. Piuttosto essa fornisce un contesto protetto in cui la persona può fare esperienza della propria rabbia ed entrare profondamente in contatto con essa, con le sue cause e sperimentare modalità metaforiche per esprimere l’aggressività. In questo caso la cornice metaforica del “come se” offerta dal setting terapeutico, consente di vivere realmente in profondità le emozioni, ma allo stesso tempo offre la possibilità di giocare, cioè di integrarle positivamente nella vita quotidiana e recuperare la piena vitalità corporea e psicologica. La metafora può essere considerata un ponte tra mondi, un regno liminare che introduce il “come se” del gioco e nella sua plasmabilità costruzionista permette profonde possibilità di cambiamento.

G. Bateson si era interessato al grande tema del gioco come spazio delle possibilità evolutive e cornice in cui sviluppare una consapevolezza meta-contestuale. L’autore evidenzia come il gioco permetta di esplorare territori che altrimenti rimarrebbero in ombra e consenta di apprendere e di “apprendere ad apprendere”, cioè riflettere sull’esperienza svolta.
L’utilizzo delle metafore corporee può essere considerata un gioco comunicativo e può venire proficuamente integrata nella terapia psico-corporea e nei gruppo di promozione della salute. Il gioco è per definizione chiuso-aperto, cioè delimitato da un frame (cornice) in cui è possibile l’apertura e la libera espressione. In esso la persona non è rigidamente incastrata in ruoli e prospettive perentoriamente definite, ma grazie alla comunicazione il gioco è suscettibile di rinegoziazione all’interno della relazione. Ecco dunque che il gioco del corpo-metafora si configura come strumento eccezionale di cambiamento, crescita e consapevolezza. La metafora si presta non solo ad interpretazioni razionali, ma in effetti essa parla direttamente anche all’inconscio, a quella parte di noi che sfugge al controllo cosciente e che fa da sfondo alla nostra vita.
Se consideriamo alcune espressioni comuni nel nostro linguaggio di tutti i giorni, ci rendiamo conto che molto spesso per comunicare i nostri sentimenti e le nostre emozioni ricorriamo a metafore corporee o che rimandano all’esperienza corporea e sensoriale.

Ad esempio quando di una persona diciamo che ha “i piedi per terra” intendiamo dire che è in contatto con la realtà, è una persona pratica che riesce a muoversi efficacemente nei contesti sociali e che soprattutto è in contatto con se stessa, le emozioni e la propria realtà corporea. In Bioenergetica essere con i piedi ben piantati per terra significa essere in “grounding”, cioè riuscire ad essere consapevoli di se stessi nel momento presente, sentirsi ben radicati nelle gambe e psicologicamente avere un Io ben strutturato e allo stesso tempo flessibile e adattabile alla vita. In effetti questa espressione metaforica designa anche un atteggiamento posturale e psico-corporeo, un modo di essere che diviene un tratto del carattere della persona.
Al contrario “avere la testa tra le nuvole” è un’espressione che si riferisce ad una persona che è impegnata cognitivamente in qualcos’altro rispetto a ciò che avviene nel presente. Magari la persona si lascia andare ai suoi sogni, ai ricordi del passato o alle aspettative del futuro.

Questo stato sognante è uno stato di scissione mente-corpo: la persona con la testa tra le nuvole non è radicata nella realtà fisica del proprio corpo e non è consapevole di ciò che le sta intorno. Infatti la persona in questione sarà facilmente soggetta a dimenticanze, incidenti e situazioni spiacevoli, si troverà ad un certo punto a chiedersi “ma come ho fatto a finire qui?”. A livello bioenergetico la persona con scarso grounding è quella che non sente le gambe e i piedi, e il cui radicamento sia psicologico che corporeo alla terra/realtà è scarso o compromesso. In questo caso la terapia individuale o l’esperienza del gruppo sono d’aiuto nel riportare la persona in contatto con se stessa e con la realtà, rafforzando l’Io e consentendo una maggiore possibilità di espressione delle proprie emozioni in maniera integrata e consona al contesto. Questo obiettivo passa attraverso una sorta di “scongelamento” dei blocchi corporei e psicologici e attraverso la presa di coscienza del proprio dolore e della propria rabbia.

Se mi “rode il fegato” dalla rabbia, probabilmente non è solo un modo di dire, come si sa da sempre in Medicina Cinese ed è attualmente riconosciuto anche nella nostra Medicina Psicosomatica. La repressione di un’emozione così importante ha certamente dei correlati a livello psicofisiologico e può predisporre a malattie come l’ulcera e la gastrite.
Le emozioni che proviamo non solo hanno una stretta relazione con il nostro benessere o malessere psicologico ma, data l’evidente e spesso dimenticata integrazione mente-corpo, esse influenzano in modo diretto anche il benessere corporeo.
Continua

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